Ripensare le digital libraries per le biblioteche pubbliche

Il modello di public library, a cui si sono ispirate le più avanzate esperienze bibliotecarie del XIX e XX secolo in Italia e nel mondo, è entrato in una fase di rapida trasformazione. È una rottura di paradigmi, teorici e pratici, che non si può affrontare per forza di inerzia, o buttandosi il passato alle spalle, o cambiando tutto per non cambiare niente. Essa richiede l’attraversamento di molti confini e il superamento della linea d’ombra che separa e ricongiunge la prima utopia e l’ultima battaglia. Un viaggio in cui non si sa se temere di più la tempesta perfetta o la lunga bonaccia.

Da Fondazione per Leggere – La biblioteca che verrà

Il tema del cambiamento delle biblioteche pubbliche è la guida del libro di Luca Ferrieri (le mie riflessioni sul libro). Ho scelto questa nota di commento al libro perché mi piace la sua sintesi e la capacità di cogliere alcuni degli aspetti più interessanti: la rottura dei paradigmi e il percolo di una lunga bonaccia.

Una lunga bonaccia che ha caratterizzato e caratterizza alcuni aspetti della vita delle biblioteche pubbliche. Fra questi, le digital libraries.

Nelle biblioteche pubbliche, almeno fino ad oggi, le digital libraries sono prevalentemente collezioni di materiale antico digitalizzato. Lo scenario che si presenta è quanto mai variegato. Dalle situazioni in cui i materiali digitalizzati sono ancora parcheggiati in dischi fissi o addirittura in CD/DVD, alla presenza di applicazioni software locali che presentano problemi a volte anche gravi.

Le applicazioni locali, infatti, se da una parte hanno avuto il merito di far nascere le raccolte digitali dall’altro hanno contribuito a creare veri e propri silos isolati e quasi inaccessibili. Oggi mostrano limiti e situazioni problematiche, molte applicazioni sono state costruite in modo artigianale e si trovano a combattere con :

– l’obsolescenza dei software (soprattutto per mancanza di manutenzione)

– il mantenimento dei server ospitanti che spesso sopravvivono senza aggiornamenti di ambiente

– la riduzione del personale (ad esempio: uscite per pensionamenti o modifiche organizzative) che porta a disperdere skill e informazioni (anche tecniche).

La mancanza di visibilità del lavoro del bibliotecario

Alle problematiche di natura tecnico-strutturale, si accompagna spesso (troppo spesso) la mancanza di visibilità del lavoro svolto dai bibliotecari. Proprio perché le infrastrutture tecnologiche non aiutano, quanto è stato fatto non è visibile. Ma non solo quanto è stato fatto in passato, anche quello che si continua a fare. Si pensi a quanti si trovano nella situazione di catalogare materiale digitalizzato in piattaforme software il cui accesso non è aperto al pubblico. Bene la conservazione e la tutela delle risorse digitali, male la mancanza di promozione, valorizzazione della collezione e, insieme, del lavoro svolto.

Ecco quindi il perché della “lunga bonaccia” a cui fa riferimento Luca Ferrieri: ci troviamo di fronte a situazioni “cristallizzate”, non gestite, chiuse. E tutto questo da tempo, da molto tempo.

Perché cambiare, adesso

Ritorno sulla necessità del cambiare e del cogliere l’attimo. Cioè farlo adesso.

La chiave di lettura sta in queste note di Ferrieri, scritte all’indomani della conclusione del lockdown:

 «Le biblioteche hanno risposto, anche se a macchia di leopardo, proprio con lo sviluppo di linee di ricerca e di fondazione del nuovo paradigma: la produzione di contenuti propri e originali (andando oltre la visione puramente distributiva del servizio, quella che è stata messa in quarantena prima dalla storia che dal virus), l’idea di una biblioteca del fare e dei maker (il cui simbolo durante la pandemia è ben rappresentato dalla produzione di mascherine in 3D), la diversificazione dei pubblici (con il passaggio, non declamato ma agito, da una ‘biblioteca per tutti’ a una ‘biblioteca per ciascuno’ e ‘di ciascuno’), la valorizzazione dei servizi digitali, la promozione della lettura espressa in innumerevoli sedute online con i gruppi di lettura, attraverso videoletture, aperitivi virtuali con gli autori, attraverso la diffusione dello storytelling, della biblioteconomia narrativa sperimentata sul campo, e così via.»

Contro l’attendismo bibliotecario: quadri di un’esposizione, L.Ferrieri – AIB Studi 1/2020

Cosa fare

Per passare dalla teoria alla pratica, occorre muoversi su due linee direttrici:

  • organizzare, preservare, promuovere i nuovi contenuti digitali (nativi)
  • dare nuova vita alle collezioni digitali.

Organizzare, preservare, promuovere i nuovi contenuti digitali

Proviamo a riassume per punti le fasi principali.

Organizzare

  • evitare la dispersione (Facebook, YouTube, Vimeo, il mio PC, …) delle risorse digitali realizzate e in corso di realizzazione
  • definire le linee «organizzative» delle nuove risorse anche pensando ai pubblici

Preservare

Raccogliere in un unico repository file e metadati che offra garanzia di adeguata capacità di conservazione dei documenti digitali. È importante che metadati e files siano contenuti insieme nello stesso repository e che quest’ultimo offra garanzie in termine di digital preservation. Sia cioè compliant con standard come OAIS (un esempio è la piattaforma DSpace-GLAM) o analoghi. Interessante è l’esperienza della Biblioteca Digitale Vaticana che si appoggia su IAU (International Astronomical Union) organizzazione che nel mondo cura lo standard FITS.

Promuovere

Costruire nuove narrazioni (seguendo le linee della biblioteconomia narrativa di cui ci parlano, ad esempio Chiara Faggiolani e Anna Galluzzi).

Dare nuova vita alle collezioni digitali

Cercando di superare i problemi già anticipati (carenze organizzative, obsolescenza dei software, …) e creando anche nuove opportunità di promozione. Non possiamo più muoverci come abbiamo fatto fin qui. Apriamo le teche digitali e riscopriamo collezioni legate al territorio e alla nostra storia. Collezioni di giornali locali e fondi fotografici sono fra i più diffusi. Per la loro natura, legata a fatti, costumi, abitudini locali possono essere i più indicati per un coinvolgimento del territorio. Ritrovarsi nelle proprie radici, riscoprire una foto d’epoca, una vecchia pubblicità, la ricetta di un dolce, una lettera, …

Biblioteche pubbliche: digital libraries ripensate e aperte

La biblioteca pubblica, con le sua digital library ripensata e aperta ci accompagna all’incontro, alla scoperta, alla partecipazione. E crea un ambiente digitale intimo e sociale, personale e collettivo, contemporaneamente. Diventa così, oltre che “la biblioteca per tutti, la biblioteca per ciascuno e di ciascuno“, attraverso le immagini, i video, i suoni di un mondo passato e del nostro mondo contemporaneo. Due mondi, finalmente insieme.