La lettura della “Biblioteca che verrà” di Luca Ferrieri è quella che si definisce una vera e propria esperienza.
Una esperienza che permette l’esplorazione della galassia bibliotecaria in cui si ritrovano mondi già noti e nuovi pianeti da scoprire. 19 capitoli che sono altrettanti libri, 254 pagine di testo e 195 di citazioni bibliografiche, note esplicative e approfondimenti. Una ricchezza di concetti, temi, contributi scientifici veramente sorprendente.
L’osmio
Ricchezza e, soprattutto, densità, che ha riacceso la memoria dei miei studi scientifici. Come dal nulla, mi è tornato in mente l’osmio. L’osmio è un metallo brillante che appartiene al cosiddetto gruppo del platino. La sua caratteristica principale è quella di avere la densità assoluta maggiore fra tutti i solidi. Una densità che lo rende raro e prezioso, estremamente difficile da ottenere, unico. Unico come questo testo, nel quale Ferrieri riprende, illustra, argomenta le tesi dei diversi autori che concorrono alla creazione della sua visione attuale e prospettica. Una visione a volte in dissonanza con alcuni autori ma proposta in maniera da non creare alcuna discontinuità col flusso dell’esposizione.
Da leggere e rileggere
Il tone of voice è quello di un testo di studio. C’è un uso ricercato di termini e di figure retoriche che rafforzano e connotano il taglio scientifico della narrazione. Un libro non facile, la cui lettura richiede tempo per evitare di fermarsi sulla superficie. Da leggere e rileggere, meditare e da tenere a portata di mano. Una sorta di punto di riferimento a cui attingere e da cui trarre spunti di riflessione anche a fronte di necessità e occasioni specifiche.
Una lettura in divenire
Inizio a soffermarmi su alcuni aspetti ma sono consapevole che sono di fronte ad una lettura in divenire perché è il tema stesso che porta a ripensare, rivedere, assiomi e modelli. Uno fra tutti quello della public library la cui trasformazione rappresenta
una rottura di paradigmi, teorici e pratici, che non si può affrontare per forza di inerzia, o buttandosi il passato alle spalle, o cambiando tutto per non cambiare niente. Essa richiede l’attraversamento di molti confini e il superamento della linea d’ombra che separa e ricongiunge la prima utopia e l’ultima battaglia. Un viaggio in cui non si sa se temere di più la tempesta perfetta o la lunga bonaccia.
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La natura relazionale
La prima riflessione che porto in evidenza è relativa alla “vera natura relazionale del servizio bibliotecario” e, in particolare, al fatto che “ciò che avviene non è solo il passaggio di una transazione informativa o la consegna di un documento, ma il prendersi cura del bisogno informativo di una persona”.
Non solo, “ogni transazione informativa deve avere una dose di empatia se vuole essere efficace, e che capire quello che si desidera conoscere (e farlo capire) è la premessa indispensabile e reciproca del servizio”. O, come dice l’Accardi, la capacità di vedersi l’un l’altro. Dove il termine chiave, è quello del vedersi, ossia di superare di slancio, grazie alla biblioteca, l’opacità in cui viviamo, vedere le persone che ci circondano.
Vedere le persone
Il vedere le persone è un punto, a mio parere, fondamentale. Troppo spesso trascurato e banalizzato. Vedere le persone nella loro complessità e peculiarità. Studiarle per comprenderle, per accoglierle, per passare dall’ “impersonale all’interpersonale e all’intersoggettivo, ossia recuperare, grazie a una relazione mutualistica, la dimensione di soggetti […]”.
Siamo di fronte (finalmente) alla “
diversificazione dei pubblici (con il passaggio, non declamato ma agito, da una ‘biblioteca per tutti’ a una ‘biblioteca per ciascuno’ e ‘di ciascuno’
Contro l’attendismo bibliotecario: quadri di un’esposizione, L.Ferrieri – AIB Studi 1/2020
Dal mio punto di osservazione professionale, lo studio e quindi la conoscenza dei pubblici è essenziale per facilitare questo processo di trasformazione. Ci sono metodi e modelli che possono aiutarci nell’analisi dei pubblici. Un esempio sono le personas, che si definiscono nei processi di inbound ma che appartengono, più in generale, al kotleriano marketing 4.0 e alle sue successive evoluzioni. Le personas privilegiano un approccio empatico. Sono, possono essere, un primo passo nella direzione del passaggio dallo stereotipo all’archetipo, dalla generalizzazione piatta dei target tradizionali, all’attenzione verso gruppi, tipologie e caratteristiche peculiari. Fino ad arrivare alla percezione di quel “ciascuno” di cui ci parla Ferrieri.
Attenzione, però, che la biblioteca deve volerlo veramente questo cambio di prospettiva, rivedendo, probabilmente, anche dogmi fino ad oggi ritenuti intoccabili.
Il superamento del prestificio
Un esempio è certamente il cambio di atteggiamento nei confronti del prestificio,
“figlio di un’idea della biblioteca come meccanismo prevalentemente distributivo, che dovrebbe essere sostituita o integrata da una concezione produttiva, riproduttiva e redistributiva di questo servizio. La biblioteca contemporanea, infatti si caratterizza sempre più come luogo di produzione dei contenuti, come incubatore capace di generare e riprodurre lettori e accorciare le distanze tra chi sa e chi non sa, abbattendo i costi sociali ed economici dell’ignoranza.”
Sul tema della produzione dei contenuti, non credo sia semplicistico e riduttivo, fare un parallelismo con i materiali prodotti durate il lockdown. Una fenomenologia, soprattutto nelle pubbliche, che ha visto una sorta di risveglio creativo. Affiancando i lettori, creando una sorta di makerslab digitali, in cui il bibliotecario è rimasto punto di aggregazione e di riferimento.
Digital libraries e conversazione
Forse da tutto questo nasce anche un nuovo ruolo delle digital libraries, viste non più solo come teche di collezioni digitalizzate ma come strumenti di accoglienza, condivisione e di supporto alla conversazione. Conversazione vista da Lankes non solo come “momento comunicativo basato sulla cooperazione dei partecipanti e sorretto da regole ben precise” ma come “strumento di creazione della conoscenza per antonomasia“.
Conoscenza che è un prodotto collettivo, proprio perché “si crea nello spazio linguistico della conversazione”.
Digital lending
Nella “Biblioteca che verrà”, Luca Ferrieri approfondisce l’applicazione dei modelli di digital lending, portando le sue annotazioni e osservazioni (che possono essere o meno condivise). Il digital lending è oggettivamente un servizio importante, strategico. In questo momento (siamo in piena pandemia), in particolare, ha offerto l’opportunità di mantenere una continuità di servizio. Ha persino favorito, almeno in alcuni casi, l’avvicinamento di nuovi pubblici alla lettura e alla biblioteca. Lo testimoniano chiaramente i dati pubblicati dai diversi sistemi bibliotecari che adottano le piattaforme di DL. Un esempio, questo resoconto della Regione Emilia-Romagna relativo a Emilib e Rete Bibliotecaria della Romagna, nel periodo 27 febbraio al 27 agosto 2020.
Ma il tema del digitale non è solo digital lending e servizi che potrei definire di infrastruttura (sale attrezzate, wi-fi, …).
Ancora sulle digital libraries
Fino ad oggi, nell’ambito delle pubblic libraries (a cui è dedicato il libro di Ferrieri) sono state viste quasi esclusivamente come teche di collezioni digitalizzate. Contenitori risultato delle campagne di digitalizzazione degli anni passati. Spesso inaccessibili dal web e realizzati con software locali gravati da fenomeni di obsolescenza. Non solo. Nei casi in cui è possibile l’accesso dalla rete è facile trovare una navigazione lenta e difficile. A questo si aggiungono immagini a bassa risoluzione di cui, in alcuni casi è ammesso solo lo scarico ma non la consultazione online.
A questo scenario si affianca la nuova produzione di materiali digitali. Una produzione che ha visto nel periodo del lockdown molti esempi che devono rappresentare una nuova opportunità per le digital libraries.
Digital libraries, quindi, che devono superare il ruolo tradizionale di teche ma che diventano (o possono diventare) strumenti di accoglienza, condivisione e supporto alla conversazione.
Lankes, biblioteca come conversazione e comunità
E qui torna il richiamo a Lankes e alla suo visione di biblioteca. Biblioteca come conversazione, quindi viva, attiva, nella modernità. Non luogo di “commemorazione della cultura, bensì un luogo dove le comunità possono inventare la propria cultura e la propria identità” (Intervista a David Lankes – Mario Coffa)
È chiaro che la situazione delle biblioteche pubbliche è in divenire. Nessuna ricetta e nessuna esperienza può essere considerata definitiva ma in mutamento perenne. C’è una incertezza di fondo, motivata da scenari organizzativi, politici, scientifici.
Il ruolo e il valore del bibliotecario
Vorrei riprendere le note di commento scritte da Francesco Mazzetta al mio post pubblicato su Linkedin perché contengono una implicita risposta al tema dell’incertezza.
“La biblioteca in cui lavoro, nonostante il lavoro profuso in iniziative, resta comunque documento-centrica. E paradossalmente proprio per questo in questo momento sono meno depresso di altri colleghi. Ad esempio di Noviello del Multiplo di Cavriago. Questo proprio perché il Multiplo è avanti anni luce rispetto a noi come superamento del prestificio e realizzazione di servizi per la comunità che … sono stati bloccati dal lockdown ed anche ora che in qualche misura sono parzialmente riaperti soffrono la paura dei potenziali utenti. Al contrario io mi ritrovo praticamente nelle condizioni del bibliotecario pre-public library che porge in prestito documenti a cui l’utente non può direttamente accedere. Il gap è forte ma resiste un nucleo tutt’altro che trascurabile di utenti che prenota, chiama, nella peggiore delle ipotesi si fida del giudizio del bibliotecario. Sono ora al prestito ed ho appena avuto di fronte due ragazzine delle superiori che dovevano leggere un libro fantasy, uno di fantascienza ed uno horror. Un po’ prendendo dagli scaffali young adult, un po’ proponendo a botta sicura Gaiman o King, sono riuscito a trovare libri che fossero di loro interesse.”