Musei: coltivare la comunità. Google, Tripadvisor, le influencer e …

Il tema della comunità degli utenti, oggi sempre più phigital (fisica e digitale) è per il museo (e non solo) quanto mai strategica. Ce ne parla nel suo nuovo contributo Alessandra Frontini. Interessante, in particolare, l’esperienza Google Business. Gli altri contributi di Alessandra: il post/intervista dedicato alla sua storia e quello sulla nuova definizione di museo.

Esistono almeno due tipologie di comunità che orbitano attorno ad un’istituzione museale: la comunità fisica legata al territorio, quella virtuale potenzialmente slegata dal territorio stesso. Mi concentrerò sulla seconda e sulla mia esperienza nel Museo del Balì.

Per noi la comunità è intesa in senso largo come tutti coloro che:

  • sono stati al museo almeno una volta
  • vengono al museo circa una volta l’anno
  • hanno intenzione di venire prossimamente al museo
  • hanno avuto un’interazione con il museo, anche solo virtuale.

Nell’ultimo gruppo rientrano, ad esempio, le persone che hanno partecipato alle challenge che abbiamo fatto su Instagram durante il lockdown. Le nostre erano a tema scientifico.

In questo gruppo rientrano anche:

  • i docenti che partecipano all’open day virtuale che organizziamo da qualche anno,
  • gli studenti che hanno partecipato a laboratori in DAD, come l’osservatorio in classe.

Comunità: curare i momenti pre e post visita

In generale, cerchiamo di curare il rapporto che le persone hanno con il museo prima della loro visita e soprattutto dopo la loro visita. Il tempo di fruizione del museo potrebbe essere diviso in 3 momenti e, quindi, concentrare tutte le proprie risorse economiche e umane nel momento centrale, quello della visita, potrebbe non risultare una strategia vincente.

Immaginare che strategie si possano adottare nel pre visita è semplice, soprattutto per chi lavora nel campo della comunicazione: affissioni, brochures, passaggi radio etc. Ma visto che stiamo parlando di community virtuali sono da aggiungere: aggiornamento della scheda di Google, degli orari su Tripadvisor, del linktree su Instagram, dei post su Facebook etc.

Immaginare le strategie del post visita risulta invece più difficile. Spesso il visitatore che esce dal portone del museo viene “abbandonato”. Ci raffiguriamo (noi operatori museali) il rapporto con lui come concluso. Ma non è esattamente così: attraversata quella porta si trasformerà del nostro miglior ambasciatore. Per diversi motivi ma quello principale è che l’arma più potente della comunicazione è sempre stata, e sempre sarà, quella del Passaparola. E che fortuna, è pure gratis!

Le recensioni, odi et amo

Il passaparola è gratis si fa per dire. Il passaparola è un’arma a doppio taglio. Il risultato cambia a seconda di come si è trovato il visitatore. Per cui se non avremo speso soldi e ingegno per accogliere il visitatore nei migliori dei modi, sarà come darci la zappa sui piedi. Gratis, ma fa comunque male.

Le recensioni altro non sono che la versione 2.0 del passaparola. Potenziata dal fatto di essere pubblica. Parlo delle recensioni su Google e Tripadvisor. Ad oggi il Museo del Balì, su Google, ha 1.632 recensioni con una media del 4,6 stelle. Di queste recensioni quelle più importanti sono le negative.

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Molte persone, compresa la sottoscritta, vanno direttamente a leggere quelle con poche stelline per capire se: “quella cosa che non è piaciuta al visitatore X potrebbe essere un difetto irrilevante per me”. In secondo luogo, sono importante per chi gestisce il museo per capire i margini di miglioramento. Ovviamente alle recensioni negative va risposto, prima con le parole e poi con i fatti. Se vuoi scoprire qualcosa in più sulla mia ossessione compulsiva verso questo strumento, leggi qua.

Se le recensioni sono l’evoluzione pubblica del passaparola, le storie ed i reel sui social ne sono la versione 3.0. La loro portata dipende dal numero di follower della persona che posta e – soprattutto – dal suo seguito effettivo. Mi riferisco al numero di commenti, interazioni e dal tasso di conversioni. Tutte cose forse noiose, per addetti del mestiere, ma che sarebbe bene tenere conto nel momento in cui si decide di collaborare con un’influencer piuttosto che un altro/a.

Il museo contagioso

La scelta di un visitatore di postare la propria esperienza nel nostro museo può essere “spinta in modo gentile” (nudge) e non forzata. Si deve trattare di una scelta volontaria, ma questo è semplice per noi. Un libro molto interessante dal titolo Contagioso spiega in modo nitido che le persone sono portate a condividere con i loro amici – sì, anche quelli virtuali – cose che rendono la loro immagine migliore. Esempio: vado dall’estetista tutte le settimane, non sono propensa a condividerlo perché vorrei che la mia immagine sembri naturalmente bella. Se invece leggo un solo libro in un anno, pubblicherò probabilmente la foto di me che esco dalla libreria con il libro, di me che leggo, del libro sul tavolo, del libro a metà etc. Voglio che le persone sappiano che leggo perché leggere fa figo (per fortuna!).

La cultura è contagiosa per antonomasia. Se vado in un museo, ma anche in una biblioteca o un archivio mi fa piacere che i miei amici lo sappiano. Ci faccio bella figura e magari suggerisco loro dove passare la prossima domenica. Un doppio guadagno, per me e per i miei amici. A cui si aggiunge quello del museo.

Si può facilitare questo processo? Sì, attraverso dei contest social, una challenge sulla maschera più brutta di Halloween, delle invasioni digitali, alcuni biglietti omaggio per la foto con più likes ma anche con una rete wifi aperta e potente e un adesivo all’ingresso che ricorda gli account del museo e l’hashtag ufficiale. Banale ma non scontato.

Ultimi/e, non per importanza, arrivano gli/le influencer.

Siano santificate le influencer

Premessa di gender equality doverosa: d’ora in poi parlerò di questa categoria al femminile perché nel nostro caso si tratta di donne. Non è detto che per tutti sia così. Il fatto che siano tutte donne riflette le statistiche dei nostri profili social. Non a caso.

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La regola d’oro da tenere a mente nello scegliere con che influencer collaborare è che non ti serve la Ferragni.  È indubbio che abbia portato a termine degli interventi bellissimi a supporto degli Uffizi prima e del Museo Egizio poi, ma a parte il budget non è detto che sia l’influencer giusta per te.

Ecco allora alcune breve linee guida con cui noi individuiamo le persone con cui collaboriamo, magari ti sono utili:

  1. Contenuti simili ai nostri. Non andiamo a selezionare food influencer ma al massimo travel influencer. Ancora meglio è il settore più di nicchia e che abbiamo scoperto da poco delle family influencer o scientific influencer. Più il settore è specifico più il messaggio sarà diretto e incisivo.
  2. Geolocalizzazione. Individuiamo persone della provincia o delle province limitrofe. Di solito più è vicino meglio è, recentemente abbiamo scoperto un’influencer che abita a 5 minuti dal museo e siamo abbastanza sciuri che la rivedremo spesso.
  3. Pubblico affezionato. Di questo ho già brevemente detto: per noi non contano tanto i follower visibili sul profilo ma quanto l’influencer è seguita in ciò che posta tutti i giorni.
  4. L’interesse per il museo. La maggior parte delle influencer con cui abbiamo preso contatto è già stata al museo. L’abbiamo scoperta o perché ci ha taggati durante la visita o per un suo post. Capita che talvolta invitiamo delle influencer a visitarci, di solito in privato ci dicono che era da molto che volevano venire ed aspettavano l’occasione adatta. Tocca a noi crearla.
  5. Ci facciamo consigliare. Da chi? Beh dalla community ovviamente. Creiamo un box domande e chiediamo che influencer della zona seguono e vorrebbero vedere al museo.

Una volta avviati questi rapporti, cerchiamo di coltivarli al meglio con una interazione one to one ed assolutamente preferenziale. Tra le varie attività che hanno funzionato bene possiamo citare un empty museum (l’iniziativa che apre il museo alla comunità degli instagrammers) e la giornata mondiale dell’ambiente.

Conclusioni: il potere della comunità

Non dimentichiamoci che anche il normale visitatore è un influencer a suo modo tra la sua cerchia di relazioni. Forse il suo messaggio risulta anche più potente e credibile della Ferragni: é il potere comunicativo del singolo visitatore.

Quando a Milano ha aperto il Museo delle illusioni, un franchising europeo, i nostri amati follower hanno commentato dicendo che un museo così esisteva già. Taggandoci. Questo è stato il risultato più bello di tutti i nostri sforzi virtuali!


Il testo è di Alessandra Frontini, l’immagine di copertina è tratta dal sito del Museo del Balì. Tutti i diritti sono riservati.