Prismi? Newton? Argomenti che sembrano fuori tema rispetto a quella che è la linea conduttrice di questo blog: parlare di biblioteche, musei, archivi e di comunicazione. E invece questo incontro con Paolo Alessandrini per lo Spazio Ospiti, ci offre diversi spunti di riflessione e apre ulteriori prospettive. Paolo, ingegnere informatico, dopo una significativa esperienza in azienda, è docente di matematica ma soprattutto scrittore e divulgatore scientifico. Il racconto dei prismi di Newton e la loro “presenza” a Treviso (nel museo di Santa Caterina, ecco il primo punto di contatto) è un’occasione per condividere ma anche per comunicare la storia della fisica. Per raccontare di scoperte ma anche di patrimoni. Spesso così vicini a noi ma a noi sconosciuti. E poi, per finire, ospitare un matematico nel blog di una fisica prestata al marketing e alla cultura, mica potevo farmi scappare l’occasione … Grazie Paolo !!
Qual è la prima immagine che vi viene in mente se dico “Isaac Newton”? La mela, certo. La celeberrima scena del frutto che cade sulla testa del genio appisolato ai piedi dell’albero è legata a una leggenda che fu divulgata per la prima volta da Voltaire. Tuttavia, c’è un’altra icona universalmente nota. E’ quella che raffigura il grande scienziato inglese intento a scomporre la luce solare nei suoi colori costitutivi mediante un prisma di vetro. Stiamo parlando di un’immagine decisamente pop, riprodotta in innumerevoli libri e perfino sulle copertine dei dischi di musica rock. Ricordate The dark side of the moon dei Pink Floyd?
Gli esperimenti di ottica compiuti da Newton rivoluzionarono la nostra comprensione della luce e
dei colori, e più in generale la nostra visione del mondo.
Dove si trovano, oggi, i prismi utilizzati da Newton?
Una facile risposta potrebbe essere: “Be’, saranno in Inghilterra”. In effetti, nella terra natale del grande fisico sono conservati quattro prismi settecenteschi, ma vi sono molte perplessità sul fatto che questi strumenti siano stati utilizzati personalmente da Newton. Un dubbio analogo riguarda tre prismi conservati in musei olandesi: pare si tratti di copie realizzate qualche anno dopo la morte dello scienziato britannico. Al contrario, i tre prismi contenuti nella cassetta conservata nel Museo di Santa Caterina di Treviso sembrano risalire agli anni in cui Newton era ancora in vita. Con ogni probabilità furono da lui impiegati per i celebri esperimenti di ottica. Ma perché proprio a Treviso? La risposta a questa domanda è racchiusa in una storia davvero sorprendente, che congiunge l’Inghilterra di Newton al Veneto dei brillanti Riccati, Rizzetti e Algarotti.
La storia
Isaac Newton pubblica il suo capolavoro i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687. [Risorse digitali e dove si trova, da Alphabetica.] Con quest’opera monumentale composta da tre libri il genio britannico formulava non una, ma addirittura tre teorie di enorme importanza:
- i principi del nuovo calcolo infinitesimale,
- le tre leggi della dinamica classica
- la legge di gravitazione universale.
Newton aveva iniziato a lavorare su questi argomenti oltre vent’anni prima. Nel 1665 si era laureato al Trinity College di Cambridge, ma subito dopo il college venne chiuso a causa della Grande Peste di Londra.
Isaac approfittò di quel “lockdown” per ritirarsi nella casa natale di Woolsthorpe e gettare le fondamenta delle sue rivoluzionarie scoperte. È durante questo periodo che avvenne il famoso episodio della mela. Mentre era seduto nel frutteto della sua tenuta vide una mela cadere dall’albero. Ciò lo fece riflettere su come gli oggetti cadono e gli ispirò le idee basilari sulla gravitazione.
I primi esperimenti di ottica con i prismi
Anche i primi esperimenti di ottica con i prismi risalgono a questi anni. Così come le prime formulazioni delle leggi della dinamica e della gravitazione, e i primi risultati ottenuti nell’ambito del calcolo infinitesimale. Se Newton aspettò più di vent’anni a pubblicare le sue scoperte rivoluzionarie, un altro grande pensatore, il tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz, pubblicò già nel 1684 un articolo in cui esponeva i fondamenti del nuovo calcolo infinitesimale. Dopo l’uscita dei Principia, tra i due scienziati cominciò a infuriare una violenta controversia sulla paternità della nuova branca della matematica. Ognuno sosteneva di averla inventata per primo e accusava il collega di avere copiato dai propri lavori. In realtà ciascuno era pervenuto a questi risultati in modo del tutto indipendente. Newton li aveva ottenuti qualche anno prima di Leibniz, ma li aveva pubblicati dopo.
L’eco delle scoperte rivoluzionarie di Newton, in ambito matematico e fisico, non si fece attendere a lungo in Europa.
Jacopo Riccati e Giovanni Rizzetti
In Italia, uno dei primi a comprendere e apprezzare le teorie del genio di Woolsthorpe fu Jacopo Riccati (1676-1754), un giovane aristocratico di Castelfranco Veneto. Riccati diventò un pioniere del calcolo infinitesimale e si distinse in particolare in una sua particolare specializzazione: lo studio delle equazioni differenziali.
La sua fama si diffuse rapidamente in Europa, sia come matematico, sia come divulgatore delle nuove idee scientifiche newtoniane. Riccati creò una straordinaria rete di relazioni con i principali studiosi italiani ed europei, e divenne il punto di riferimento di un fecondo gruppo di intellettuali trevigiani. Oltre che di matematica, si interessò a quasi tutti i rami dello scibile umano, producendo oltre duemila pagine di lavori. Se Riccati fu un newtoniano convinto, un altro aristocratico castellano dell’epoca, Giovanni Rizzetti (1675- 1751), ne fu un severo oppositore. A partire dal 1716 cercò di riprodurre il celebre esperimento della dispersione luminosa per mezzo di un prisma, nel quale le diverse frequenze vengono rifratte secondo angoli diversi, provocando la separazione della luce bianca nei suoi colori costitutivi.
Rizzetti dichiarò di avere ottenuto esiti diversi da quelli che lo scienziato inglese aveva osservato. Scrisse le sue conclusioni nel suo trattato De luminis affectionibus specimen physico mathematicum, che venne pubblicato nel 1727, proprio mentre Newton moriva a Londra. Rizzetti contestava specialmente la dottrina corpuscolare della luce, che l’illustre britannico aveva sostenuto in contrapposizione alla visione ondulatoria di Christian Huygens.
Una disputa scientifica e Francesco Algarotti
Le tesi di Rizzetti scatenarono una disputa scientifica che coinvolse molti intellettuali in Europa. La maggior parte di loro era schierata a favore delle teorie newtoniane, ma vi erano numerose voci contrarie. Un personaggio chiave di questa storia fu Francesco Algarotti (1712-1764). Un giovane veneziano dotato non soltanto di considerevoli risorse finanziarie, ma anche di un ampio spettro di interessi culturali e di un notevole fascino intellettuale.
Dopo aver studiato a Venezia, Bologna, Padova, Firenze e Roma, Algarotti divenne un importante punto di riferimento della cultura illuminista del suo tempo. Intrecciò relazioni con i principali intellettuali europei.
Convinto sostenitore delle dottrine d’oltremanica, sposò la tesi dello scienziato inglese John Theophilus Desaguliers. Secondo Desaguliers i prismi usati da Rizzetti non avevano condotto ai risultati di Newton perché difettosi. Utilizzando lo spato d’Islanda al posto del vetro nella costruzione dei prismi, Algarotti riuscì a replicare perfettamente gli effetti degli esperimenti di Newton e confutare così le tesi di Rizzetti.
Nel 1734 Algarotti partì per Parigi, dove incontrò Voltaire e altri noti intellettuali. Si spostò quindi a Londra, dove fu accolto nella Royal Society e conobbe il poeta Alexander Pope. In questo periodo Algarotti terminò “Il Newtonianismo per le dame, ovvero Dialoghi sopra la luce e i colori”. Era un trattato che esponeva le nuove teorie inglesi nella cornice di una conversazione frivola e galante tra una marchesa e un suo corteggiatore. Il grande successo ottenuto dal libro contribuì a divulgare le dottrine scientifiche di Newton in tutta Europa.
L’incontro con Catherine Barton
Nel corso del suo soggiorno londinese, Algarotti conobbe anche Catherine Barton, nipote di Isaac Newton. Assieme al marito, il politico John Conduitt, aveva assistito lo zio Isaac nei suoi ultimi anni di vita e ne era poi divenuta l’erede. Quando incontrò l’erudito veneziano, allora appena ventiduenne, Barton aveva 55 anni, ma era ancora una donna di grande bellezza e di straordinario fascino intellettuale. In passato si erano innamorati di lei uomini come Voltaire, Jonathan Swift e Charles Montagu. Ma anche Algarotti era noto per il suo carisma e la sua capacità di seduzione.
Algarotti e i prismi di Newton
Nel corso di quel romantico rendezvous il veneziano riuscì a convincere Catherine a regalargli tre dei prismi a base triangolare che Newton aveva impiegato nei suoi esperimenti di ottica. Per custodire i tre prismi Algarotti fece costruire una cassetta, sulla quale vennero stampate le diciture “1734 – I.N.P.F.A.” . Indicano la data del dono e, molto probabilmente, le iniziali di “Isaac Newton Present Francesco Algarotti”, forse a rimarcare che i prismi erano quelli originali del grande scienziato e che vennero volontariamente donati, e non sottratti indebitamente.
I prismi arrivano in Veneto
Algarotti portò la cassetta in Veneto ed essa entrò a far parte della sua pregiata collezione, costituita per lo più da opere d’arte. Dopo la morte di Algarotti la sua raccolta subì alcuni cambi di proprietario, fino a giungere nel 1879 nelle mani dell’abate Luigi Bailo. Grande studioso d’arte e importante promotore culturale nella Treviso tra Ottocento e Novecento, nonché fondatore dei Musei Civici di questa città.
Fu così che i prismi di Isaac Newton entrarono nel complesso di Santa Caterina, una delle tre sedi dei Musei Civici di Treviso, dove si trovano ancora oggi. Oggi la cassetta di Algarotti non è esposta al pubblico, ma conservata in deposito. Non soltanto per motivi legati alla conservazione di oggetti così delicati, ma anche, e soprattutto, perché a Treviso sono presenti principalmente raccolte d’arte, di archeologia e di arti applicate, e non strumenti scientifici che meriterebbero un contesto espositivo diverso.
L’incontro di Paolo
Ho appreso questa storia parecchi anni fa, e lo scorso febbraio, grazie alla cortesia dei Musei Civici di Treviso e in particolare della dottoressa Eleonora Drago, conservatrice a Santa Caterina, ho avuto il privilegio di visionare di persona la cassetta e i prismi di Newton. In questo mio video, intitolato “Newton e Treviso: una storia di attrazione fatale”, potete vedere da vicino i preziosi prismi. Li ho ripresi in quella mattina di febbraio. Nel video, oltre alla storia che ho raccontato anche in questo articolo ci sono alcune interessanti precisazioni della dottoressa Drago.
Un’emozione speciale
Come potete immaginare, l’incontro ravvicinato con la cassetta è stato per me un momento di grande emozione. Una connessione tangibile con uno dei più grandi geni della storia dell’umanità. Guardare attraverso quei prismi, sapendo che Newton stesso li aveva maneggiati e usati nei suoi esperimenti rivoluzionari, mi ha fatto sentire come se stessi toccando un importante pezzo della storia della scienza.
La cassetta, con le iscrizioni che attestano il dono di Catherine Barton a Francesco Algarotti, è un tesoro. E rappresenta non solo un legame personale tra figure storiche di grande rilievo, ma anche un simbolo della diffusione del sapere scientifico attraverso i secoli e le frontiere. Il fatto che questi prismi, che avevano visto la luce di Woolsthorpe sotto l’occhio vigile di Newton, si trovino ora nel cuore di Treviso è una testimonianza della vasta e feconda rete di scambi intellettuali e culturali che animò l’Europa dei Lumi e che coinvolse in modo particolare il Veneto.
Per approfondire
- “Aspetti della società e della cultura di Treviso nel Settecento e nell’Ottocento”, relazioni di Francesco Zanella tenute per il Comitato Trevigiano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e per l’Ateneo di Treviso, a cura di Valeria Favretto, 2017.
- “Sir Isaac Newton’s Prisms” in “Nature”, January 21, 1939, Vol. 143, pag. 110.
- “Cultura e scienza nella Marca del Settecento: la Schola Riccatiana” di Giorgio T. Bagni, Cassamarca, 1998, 12, XII, 1, pag. 68-72.
- “I manoscritti di Francesco Algarotti e i prismi di Newton” di Luigi Bailo, in “Il Bibliofilo”, anno V, 1884, n. 2, pag. 23 -24.
- “I prismi del Newton e i prismi dell’Algarotti” di B.I. Cohen, in “Atti della Fondazione Giorgio Ronchi”, a. XII, n . 3, maggio-giugno 1957, pag. 1-11.
- “Catalogo degli strumenti scientifici e delle opere esposte” di Q. Bortolato, D. Chisari, in “Atti del Convegno ‘I Riccati e le scienze nel Settecento veneto'”, Mirano 1991, pag. 81-94.
- “Prismi di Isacco Newton” di E. Manzato, in “Atti del Convegno ‘I Riccati e le scienze nel Settecento veneto’”, Mirano 1991, pag. 77-80.
Copyright: il testo è di Paolo Alessandrini (a parte la mia introduzione, in blù). La foto di copertina di Paolo Alessandrini della “cassetta” sono di Paolo Alessandrini. La foto dell’LP dei Pink Floyd è di Anna Busa . Tutti i diritti di testo e immagini, sono riservati.