Biblioteche e marketing umanistico, una riflessione sulla comunicazione

Anche in biblioteca, l’evoluzione della visione di marketing predilige il pensare in termini di pubblico e non più solo di target (per approfondire, il post User personas e pubblici: riflessioni per le strategie di marketing culturale. Importante è, infatti, studiare con attenzione comportamenti e bisogni della “persona-utente”. Il servizio che viene erogato/proposto deve essere interpretato come risposta alla domanda (manifesta o latente) e al bisogno. Per muoversi lungo questa linea un elemento fondamentale è l’ascolto. Ascolto che significa attenzione, comprensione, coinvolgimento. E’ il marketing umanistico di Philips Kotler:

“Nel marketing umanistico ci si relaziona con i clienti in quanto esseri umani completi, con una mente, un cuore e uno spirito. Non ci si limita a soddisfare le esigenze funzionali ed emotive dei clienti, ma si risponde anche alle loro ansie e desideri latenti.”

Da qui i nuovi messaggi pubblicitari che ritroviamo nel mercato e che fanno leva sul motivo per cui devi acquistare e non tanto sul prodotto (in sè). E le comunicazioni che guardano al mercato non come un territorio da colonizzare ma come una piazza su cui si fanno scambi che tengono conto delle necessità e delle caratteristiche delle persone e dei contesti.

Biblioteche e marketing umanistico

C’è un legame fra Biblioteche e marketing umanistico?

Le biblioteche non hanno prodotti da vendere, non sono supermercati e non hanno l’obiettivo del profitto. Qual è, quindi, il legame fra biblioteche e marketing umanistico?

Ci sono e se sì, quali sono gli elementi che connotano la biblioteca e che sono riconducibili ai principi del marketing umanistico? L’ascolto, il servizio come risposta ai bisogni, il dialogo, l’informazione, la capacità di instaurare una relazione con i propri utenti basata sulla fiducia. A tutto questo si aggiunge la competenza e la capacità di accoglienza. Non solo, la presenza di un’identità, quella della biblioteca, riconosciuta e riconoscibile. Che va promossa e diffusa proprio per la sua essenza intrinseca.

Riprendo una definizione di brand, che mi sembra molto adatta anche al nostro conteso:

Un brand è un desiderio condiviso ed un’idea esclusiva rappresentato in un prodotto, servizio, luogo o esperienza  (Kapferer, 2004)

La biblioteca è un brand formidabile, perché ogni biblioteca è un’idea esclusiva che raccoglie servizio, luogo, esperienza. In un unicum.

A tutto questo si aggiunge che il rapporto, soprattutto nelle Pubbliche, si basa su una relazione umana molto forte. Relazione intesa come capacità di instaurare un rapporto uno-a-uno (biblioteca – utente), quanto mai gratificante per la persona. Penso al rapporto, ad esempio, nei Gruppi di lettura, nelle biblioteche ragazzi con i piccoli lettori e le famiglie, ai frequentatori assidui (che non sono solo, certo, gli studenti) ma spesso appartenenti alla terza età.

Biblioteca e comunicazione

Ma se la biblioteca è già tutto questo, cosa manca, veramente? Prima di tutto un piano di marketing, una strategia definita e organizzata lungo la quale muoversi. Giovanni Solimine sottolinea in sintesi ma con grande efficacia che:

Né è facile per la biblioteca dotarsi di un proprio e specifico piano di marketing, al pari delle altre organizzazioni fornitrici di prodotti e servizi: adottare come punto di riferimento privilegiato il cliente/utente significa sapersi mettere in posizione di ascolto, saper progettare e ri-progettare giorno per giorno il servizio a partire da un’analisi corretta delle aspettative e delle motivazioni dei suoi interlocutori, saperne interpretare i bisogni e monitorare i livelli di soddisfazione. Una buona comunicazione è il modo migliore per fare anche una promozione incisiva.

La biblioteca, spesso, ha difficoltà a comunicare se stessa e i suoi servizi. Fin dalle piccole cose (mi vengono in mente i cartelli attaccati con lo scotch del carrozziere descritti nel suo libro da Mariastella Rasetti). Spesso la biblioteca spesso non comunica bene nemmeno in rete.  Una pagina Facebook o un profilo Instagram, un opac portalizzato devono essere visti come strumenti di un’unica strategia di comunicazione. Di una narrazione omogenea che si sviluppa lungo linee direttrici chiare che sono il risultato di scelte consapevoli. E di questo tema ne ho parlato a lungo nel mio “Come fare marketing digitale in biblioteca“.

La biblioteca ha anche la necessità di adottare linguaggi di comunicazione più “morbidi”.

Un esempio? Cambiare tono di voce e modo con cui scriviamo i testi per il web. Spesso algidi e troppo lontani dal linguaggio con cui comunichiamo in rete ogni giorno. Un linguaggio più naturale e meno “istituzionalese” avvicinerebbe biblioteca e utenti. [Per approfondire, La scrittura per il web: appunti e riflessioni per iniziare a cambiare web]

Disegnare il futuro della biblioteca

Siamo di fronte ad una trasformazione delle istituzioni culturali e del rapporto con il pubblico (anche grazie ai nuovi strumenti e ambienti digitali). Credo che tutto questo possa rientrare in quella

visione della disciplina biblioteconomica denominata “biblioteconomia sociale” che rivendica “la centralità delle persone rispetto ai servizi (biblioteconomia gestionale) e ai documenti (biblioteconomia documentale)” una disciplina che si occupa della biblioteca come “sistema sociale fatto dalle persone per le persone”(*)


(*) cit, da “Linee guida per la redazione di piani strategici per le biblioteche pubbliche a cura della Commissione Nazionale Biblioteche Pubbliche 2017/2020 – La cit. nel testo è tratta da Chiara Faggiolani, Giovanni Solimine, Biblioteche moltiplicatrici di welfare: verso la biblioteconomia sociale, “Biblioteche Oggi”, 31 [2013], 3, p.18