Questa volta lo Spazio ospiti ci offre un incontro speciale! Una museologa che descrive la sua esperienza di Social media Manager per un Museo della Scienza come il Balì in un blog di una fisica prestata al marketing … dài … non si era mai letto!! A parte le battute, ecco Alessandra Frontini che ci racconta della sua avventura presso il Museo del Balì …
NDR: La collaborazione di Alessandra Frontini con il Museo del Balì si è conclusa ai primi di dicembre del 2022 (profilo Linkedin).
Mi presento, mi chiamo Alessandra Frontini e lavoro al Museo del Balì. Probabilmente non conoscerai questo museo e il nome misterioso non aiuta. Per cui ti svelo che si tratta di uno dei principali musei di scienza in Italia e del secondo museo più visitato delle Marche (il primo è niente po’ po’ di meno che il Palazzo Ducale – Galleria della Marche a Urbino). Per il Balì, come lo chiamiamo tra amici, mi occupo di Social Media Management e poi dell’Ufficio Stampa. In quest’ordine preciso!
Ti lascio al volo alcuni numeri per rendere l’idea: 300 metri quadri, una villa storica del 700, 9 sale tematiche, 50 exhibit interattivi, un planetario digitale da 60 posti, un osservatorio astronomico e circa 50.000 visitatori l’anno pre-pandemia. Ora non lo sappiamo perché un anno intero senza chiusure a singhiozzo non siamo riusciti a farlo.

La strada che mi ha portata al Balì
È stata lunga e tempestosa… scherzo! In realtà è stato un percorso internazionale ed in cui il leitmotiv è stata la determinazione. La determinazione nel voler lavorare in un museo, se possibile un museo vicino alla mia città (ndr. sono anconetana). Durante la triennale in Lettere Moderne a Bologna ho trascorso un anno in Erasmus a Parigi 8.
Lì mi sono follemente innamorata, non di un parigino, ma della mia Professoressa di Museologia. O meglio della materia che insegnava. Ho riscoperto un amore di cui sicuramente la colpa – ma anche il merito – è da attribuire ai miei genitori che dalla tenera età di 5 anni ci hanno trascinate in musei di tutta Europa. Io sono diventata museologa, mia sorella copywriter a Sydney. A qualcosa sarà servito!
Ma torniamo al cursus studiorum (in latino fa tutto più “figo”, alla faccia dell’inglese). Dopo la folgorazione parigina cerco ovunque una specialistica in Museologia. Neanche a dirlo, in Italia la ricerca produce scarsi risultati, sarebbe più corretto dire nulli, mentre in Europa invece qualcosa di buono si trova. Dopo essere stata ammessa alla Sorbona, a Neuchâtel e a Liegi opto per quest’ultima. Non foss’altro che i belgi, popolo fantastico, decidono di pagarmi per andare a studiare da loro. Letteralmente. In pratica, vinco una borsa di studio per studenti stranieri che decidono di andare a fare il Master da loro. Ah, se non lo sapessi nel resto d’Europa il Master equivale alla nostra specialistica e dura 2 anni.
Arrivo al dunque, il master en musèeologie è stato S-P-E-T-T-A-C-O-L-A-R-E. Eravamo in pochi, una ventina di studenti, e a guidarci in questo mondo c’era il fantastico Andrè Gob. Museologo di fama internazionale, membro dell’ICOM, i cui libri ti consiglio vivamente se lavori in questo ambito. Finisco il Master con il massimo dei voti ottenibili in ambito francese, 18/20, e tento la strada del dottorato che purtroppo si arena. Tornata in Italia faccio un po’ di tirocini qua e là per poi ottenere un Master in Management delle Risorse Artistiche e Culturali alla IULM. Tralasciando alcune piacevoli esperienze lavorative in musei italiani e spagnoli, approdo al Museo del Balì passando il colloquio come animatrice scientifica.
Una cassa di risonanza per la creatività
Nel giro di un paio di anni, per merito di una Direttrice ed un paio di Presidenti illuminati, riesco ad “appropriarmi” dei canali social del museo e della loro gestione. Lo scorso anno, per esigenze interne, eredito anche la gestione dell’ufficio stampa in toto. Quando ai Festival sento dire che “il messaggio deve essere coordinato” e ci deve essere un confronto costante col team, mi scappa sempre un sorriso. E se anche tu sei l’unico del tuo team probabilmente condividerai questo mio pensiero misto di soddisfazione ma con un retrogusto di amaro.
In compenso, nella situazione in cui mi trovo, è impossibile uscire con la comunicazione in modo asincrono. Sai esattamente a che punto sei arrivato e tutta la montagna di lavoro che ti resta da scalare. Ehm, pubblicare. In pratica: te la canti e te la suoni.
Questo “one man show” nel mio caso “woman” ha anche i suoi vantaggi: hai più o meno cartabianca, la creatività fluisce libera e ti resta solo da chiedere il via libera del Direttore. Nel mio caso della Direttrice. A essere sinceri non è proprio un one woman visto che abbiamo un grafico che ci supporta e un fotografo. L’onnipotenza creativa non è stata ancora inventata. O comunque non mi appartiene.
Sicuramente aiuta lavorare in un museo in cui l’innovazione e la sperimentazione sono le parole chiave, a partire dalla fruizione del museo da parte dei visitatori. Nel corso degli anni mi sono permessa di sperimentare. Alcune cose hanno funzionato, altre un po’ meno. Come è normale che sia.
La mia ossessione per le recensioni
Tra le cose sperimentate, vorrei raccontarti di quando ho deciso di condividere le recensioni che ci arrivavano. Non quelle positive da 5 stelline, quelle “sono boni tutti” come direbbe mia nonna. Ma quelle negative negative, da una stellina, quelle che i miei colleghi d’istinto mi hanno consigliato di cancellare.
L’istinto e la mia amigdala offese avrebbero portato anche me a cancellarle. Ma da quando combatto con le persone sui social – un duello enormemente più difficile che di persona – ho imparato una lezione: non rispondere mai di petto, né a un commento né a una recensione. A nulla.
La lascio depositare. Di solito almeno un giorno. Cosicché la mia razionalità e i 10 anni di pratica yoga abbiano il tempo di prendere il sopravvento. E mi ricordo e ripeto come un mantra che:
- Le recensioni negative sono il miglior spunto di miglioramento che potrò mai avere. Sono consigli, anche se spesso in tono poco costruttivo, del tutto gratuiti. C’è chi paga un consulente. Io ho le recensioni. Almeno sono gratis
- Posso essere utili tanto a te quanto ai nostri visitatori. Affinché non compiano gli stessi errori dei loro predecessori.
- Alcune recensioni si commento da sole, alias non serve rispondere. Sono talmente fuori luogo che perdono validità in modo totalmente autonomo.
- Esistono, benché siano rare, delle recensioni completamente fallaci e davvero cattive. Del resto una percentuale della popolazione completamente fuori senno c’è. Lo stesso vale per il popolo web.
- Dopo aver migliorato ciò che potevo migliorare, rispondo pubblicamente e in modo educato. Il 99% delle volte mi scuso e racconto come pensiamo di migliorare in futuro alla questione sollevata nella recensione. Ma che questo va fatto, lo sapevi già.
Insomma, non tutte le recensioni negative vengono per nuocere, anzi. Personalmente le considero il mio miglior alleato. Un interlocutore. Sarà forse per la questione del one woman show di cui sopra?! Una cosa è certa, al pubblico non sfugge nulla. Potrai far leggere quella locandina a tutti i tuoi colleghi ma se c‘è un refuso in agguato, saranno i tuoi followers e/o haters a scoprirlo. Una volta che avrai accettato quest’assioma il vostro rapporto di amor et odio migliorerà di sicuro.
Le conclusioni non possono mancare mai
Questa è la mia piccola esperienza come Social Media Manager di un museo fuori dagli schemi come il Museo del Balì. Un contesto extra-ordinario. Un luogo che ha la capacità di trasformare il tuo talento elevandolo al quadrato. Spero che anche tu possa incontrare nella tua vita un luogo così e soprattutto riconoscerlo.
Coltivare la comunità. Google, Tripadvisor, le influencer e …
Esistono almeno due tipologie di comunità che orbitano attorno ad un’istituzione museale: la comunità fisica legata al territorio, quella virtuale potenzialmente slegata dal territorio stesso. Mi concentrerò sulla seconda e sulla mia esperienza nel Museo del Balì.
Per noi la comunità è intesa in senso largo come tutti coloro che:
- sono stati al museo almeno una volta
- vengono al museo circa una volta l’anno
- hanno intenzione di venire prossimamente al museo
- hanno avuto un’interazione con il museo, anche solo virtuale.
Nell’ultimo gruppo rientrano, ad esempio, le persone che hanno partecipato alle challenge che abbiamo fatto su Instagram durante il lockdown. Le nostre erano a tema scientifico.
In questo gruppo rientrano anche:
- i docenti che partecipano all’open day virtuale che organizziamo da qualche anno,
- gli studenti che hanno partecipato a laboratori in DAD, come l’osservatorio in classe.
Comunità: curare i momenti pre e post visita
In generale, cerchiamo di curare il rapporto che le persone hanno con il museo prima della loro visita e soprattutto dopo la loro visita. Il tempo di fruizione del museo potrebbe essere diviso in 3 momenti e, quindi, concentrare tutte le proprie risorse economiche e umane nel momento centrale, quello della visita, potrebbe non risultare una strategia vincente.
Immaginare che strategie si possano adottare nel pre visita è semplice, soprattutto per chi lavora nel campo della comunicazione: affissioni, brochures, passaggi radio etc. Ma visto che stiamo parlando di community virtuali sono da aggiungere: aggiornamento della scheda di Google, degli orari su Tripadvisor, del linktree su Instagram, dei post su Facebook etc.
Immaginare le strategie del post visita risulta invece più difficile. Spesso il visitatore che esce dal portone del museo viene “abbandonato”. Ci raffiguriamo (noi operatori museali) il rapporto con lui come concluso. Ma non è esattamente così: attraversata quella porta si trasformerà del nostro miglior ambasciatore. Per diversi motivi ma quello principale è che l’arma più potente della comunicazione è sempre stata, e sempre sarà, quella del Passaparola. E che fortuna, è pure gratis!
Le recensioni, odi et amo
Il passaparola è gratis si fa per dire. Il passaparola è un’arma a doppio taglio. Il risultato cambia a seconda di come si è trovato il visitatore. Per cui se non avremo speso soldi e ingegno per accogliere il visitatore nei migliori dei modi, sarà come darci la zappa sui piedi. Gratis, ma fa comunque male.
Le recensioni altro non sono che la versione 2.0 del passaparola. Potenziata dal fatto di essere pubblica. Parlo delle recensioni su Google e Tripadvisor. Ad oggi (novembre 2022) il Museo del Balì, su Google, ha 1.632 recensioni con una media del 4,6 stelle. Di queste recensioni quelle più importanti sono le negative.
Molte persone, compresa la sottoscritta, vanno direttamente a leggere quelle con poche stelline per capire se: “quella cosa che non è piaciuta al visitatore X potrebbe essere un difetto irrilevante per me”. In secondo luogo, sono importante per chi gestisce il museo per capire i margini di miglioramento. Ovviamente alle recensioni negative va risposto, prima con le parole e poi con i fatti. Se le recensioni sono l’evoluzione pubblica del passaparola, le storie ed i reel sui social ne sono la versione 3.0. La loro portata dipende dal numero di follower della persona che posta e – soprattutto – dal suo seguito effettivo. Mi riferisco al numero di commenti, interazioni e dal tasso di conversioni. Tutte cose forse noiose, per addetti del mestiere, ma che sarebbe bene tenere conto nel momento in cui si decide di collaborare con un’influencer piuttosto che un altro/a.
Il museo contagioso
La scelta di un visitatore di postare la propria esperienza nel nostro museo può essere “spinta in modo gentile” (nudge) e non forzata. Si deve trattare di una scelta volontaria, ma questo è semplice per noi. Un libro molto interessante dal titolo Contagioso spiega in modo nitido che le persone sono portate a condividere con i loro amici – sì, anche quelli virtuali – cose che rendono la loro immagine migliore. Esempio: vado dall’estetista tutte le settimane, non sono propensa a condividerlo perché vorrei che la mia immagine sembri naturalmente bella. Se invece leggo un solo libro in un anno, pubblicherò probabilmente la foto di me che esco dalla libreria con il libro, di me che leggo, del libro sul tavolo, del libro a metà etc. Voglio che le persone sappiano che leggo perché leggere fa figo (per fortuna!).
La cultura è contagiosa per antonomasia. Se vado in un museo, ma anche in una biblioteca o un archivio mi fa piacere che i miei amici lo sappiano. Ci faccio bella figura e magari suggerisco loro dove passare la prossima domenica. Un doppio guadagno, per me e per i miei amici. A cui si aggiunge quello del museo.
Si può facilitare questo processo? Sì, attraverso dei contest social, una challenge sulla maschera più brutta di Halloween, delle invasioni digitali, alcuni biglietti omaggio per la foto con più likes ma anche con una rete wifi aperta e potente e un adesivo all’ingresso che ricorda gli account del museo e l’hashtag ufficiale. Banale ma non scontato.
Ultimi/e, non per importanza, arrivano gli/le influencer.
Siano santificate le influencer
Premessa di gender equality doverosa: d’ora in poi parlerò di questa categoria al femminile perché nel nostro caso si tratta di donne. Non è detto che per tutti sia così. Il fatto che siano tutte donne riflette le statistiche dei nostri profili social. Non a caso.
La regola d’oro da tenere a mente nello scegliere con che influencer collaborare è che non ti serve la Ferragni. È indubbio che abbia portato a termine degli interventi bellissimi a supporto degli Uffizi prima e del Museo Egizio poi, ma a parte il budget non è detto che sia l’influencer giusta per te.
Ecco allora alcune breve linee guida con cui noi individuiamo le persone con cui collaboriamo, magari ti sono utili:
- Contenuti simili ai nostri. Non andiamo a selezionare food influencer ma al massimo travel influencer. Ancora meglio è il settore più di nicchia e che abbiamo scoperto da poco delle family influencer o scientific influencer. Più il settore è specifico più il messaggio sarà diretto e incisivo.
- Geolocalizzazione. Individuiamo persone della provincia o delle province limitrofe. Di solito più è vicino meglio è, recentemente abbiamo scoperto un’influencer che abita a 5 minuti dal museo e siamo abbastanza sciuri che la rivedremo spesso.
- Pubblico affezionato. Di questo ho già brevemente detto: per noi non contano tanto i follower visibili sul profilo ma quanto l’influencer è seguita in ciò che posta tutti i giorni.
- L’interesse per il museo. La maggior parte delle influencer con cui abbiamo preso contatto è già stata al museo. L’abbiamo scoperta o perché ci ha taggati durante la visita o per un suo post. Capita che talvolta invitiamo delle influencer a visitarci, di solito in privato ci dicono che era da molto che volevano venire ed aspettavano l’occasione adatta. Tocca a noi crearla.
- Ci facciamo consigliare. Da chi? Beh dalla community ovviamente. Creiamo un box domande e chiediamo che influencer della zona seguono e vorrebbero vedere al museo.
Una volta avviati questi rapporti, cerchiamo di coltivarli al meglio con una interazione one to one ed assolutamente preferenziale. Tra le varie attività che hanno funzionato bene possiamo citare un empty museum (l’iniziativa che apre il museo alla comunità degli instagrammers) e la giornata mondiale dell’ambiente.
Conclusioni: il potere della comunità
Non dimentichiamoci che anche il normale visitatore è un influencer a suo modo tra la sua cerchia di relazioni. Forse il suo messaggio risulta anche più potente e credibile della Ferragni: é il potere comunicativo del singolo visitatore.
Copyright: il testo è di Alessandra Frontini, le foto, consegnate da Alessandra Frontini, sono di Wilson Santinelli e del Museo del Balì. Tutti i diritti, testo e foto, sono riservati.