Olivetti

L’Olivetti, Ivrea, le arance e i “dolci” ricordi

Mi sono laureata in fisica a dicembre del 1979 con una tesi sulla dosimetria delle radiazioni sui pazienti nelle indagini radiografiche al torace. A gennaio del 1980 ero stata accettata alla Scuola di Perfezionamento post laurea in Fisica Sanitaria. La mia prospettiva era lavorare in ospedale.

L’incontro con l’Olivetti

Ai primi di marzo 1980 l’Olivetti mi contattò: ero stata la prima a laurearmi nel mio corso e questo, per loro, era un merito “speciale”. Due colloqui, prima a Bologna poi a Milano e nel giro di un paio di mesi o poco più mi assunsero a tempo indeterminato come Analista EDP. Ricordo ancora il telegramma che conteneva la comunicazione ufficiale. Un lavoro, certo, ma soprattutto la possibilità di percorrere un’altra strada. I mesi della Scuola, trascorsi in ospedale a Bologna, mi avevano messo di fronte alla cruda realtà del mio potenziale lavoro: il contatto diretto e continuo con i malati. E molte mie certezze si stavano sgretolando. Sembra banale dirlo ma passare dalle aule e dai laboratori alla realtà è un’altra cosa.

1 luglio 1980

Quindi accettai la proposta e iniziai a lavorare il 1 luglio del 1980 in via Ripamonti a Milano e lasciai la fisica per qualcosa che non mi era molto chiaro. Dopo un paio di settimane mi dissero che era il caso che andassi a lavorare a Ivrea, Palazzo Uffici 6° piano – ala B, dove c’era la direzione Marketing Mondo alla quale ero assegnata. Volevano mettermi in condizione di ricevere la migliore formazione possibile. E così mi spostai ad Ivrea. Vivevo all’hotel Moro (che oggi non esiste più, in Corso Massimo D’azeglio, 29) perché, assunta a Milano, ero considerata in trasferta.

I viaggi Ivrea – Ravenna

Anche per questo motivo, nel periodo in cui ho lavorato in Olivetti ho continuato a rientrare a casa tutte le settimane. A parte la necessità di rientrare in famiglia, il fine settimana in hotel non era il massimo. Così, andavo avanti e indietro da Ravenna. Partivo il lunedì mattina all’alba: c’era un treno alle 4,30 per Bologna, poi cambiavo e prendevo il treno per Milano. Da Stazione Centrale in taxi arrivavo a Piazza Castello e da lì prendevo il pullman dell’Autostradale per Ivrea. Rientravo il venerdì pomeriggio. Da Ivrea c’era il pullman Olivetti fino a Piazza Castello, poi taxi e poi treno fino a Bologna e poi ancora treno fino a casa. Il week end del 2 agosto 1980 sembrava mi dovessi trattenere e rientrare il sabato mattina anzichè il venerdì pomeriggio, ooi all’ultimo momento cambiarono i piani e riuscii a rientrare il venerdì sera, E così mi sono salvata (il mio ricordo, qui).

Palazzo Uffici

Quando arrivai la prima volta, Palazzo Uffici mi fece un certo effetto: circondato dal verde era elegante, inaspettato. All’interno lo scalone offre un’immagine scenografica straordinaria che nelle foto non riesce ad essere resa in modo completo.

Olivetti
Credits: sinistra . destra

Timidamente salii i piani fino ad arrivare al 6°. Mi accolsero con gentilezza, quasi con affetto. Ero la più giovane e c’era solo un’altra collega, il resto erano tutti colleghi. Ricevetti un badge con banda magnetica, con il quale potevo pagare la mensa (la spesa veniva detratto automaticamente dallo stipendio), poteva essere usato per timbrare entrate e uscite (io no perché ero in trasferta) e, a tutti gli effetti, era una sorta di lascia passare per vari “ambienti Olivetti”.

Il “mio” tutor in Olivetti

Mi fu assegnato un tutor (con una esperienza e capacità che ho ritrovato in pochissime persone nel prosieguo della mia carriera) che riuscì nell’impresa di farmi appassionare al nuovo lavoro, al marketing, alle strategie di mercato. L’approccio fu: capisci cosa devi proporre al mercato, conoscilo. Mi ha fatto imparare l’assembler con cui era scritto il software del TC800, sul quale giravano le soluzioni del settore in cui ero inserita. Poi, mi diceva, ragiona sul target dei clienti (in quel caso banche). Ma ricordati che la metodologia che impari deve consentirti di essere in grado di “parlare” a qualunque tipologia di realtà. Sei tu che devi essere elastica ma rigorosa nel seguire i dettami scientifici della disciplina. Il percorso è stato straordinario.

Case history, esperienze sul campo (ho passato un paio di mesi in Francia fra Parigi e Lille, presso Credit Agricole con i miei colleghi). Tanto studio. Mi interrogava su Marketing Management di Kotler, per dirne uno, ma la lista dei libri da studiare era imponente. Ma non solo il tutor, anche gli altri colleghi con cui lavoravo sono indimenticabili. Dopo il primo periodo di formazione, iniziai a camminare “con le mie gambe” e fu bellissimo. Ho imparato tanto e il mestiere del marketing iniziato in tempi in cui era ancora poco diffuso e guardato quasi con diffidenza, è diventato il mio mestiere.

Ivrea

Le mie giornate erano “piene”. Alle 8 e mezzo ero in ufficio. Di solito, se il tempo era buono, facevo una passeggiata dall’hotel che era in zona semi-centrale fino a Palazzo Uffici (ci voleva una mezz’ora buona). Tassativo era fare un pezzo di lungo Dora. La sera uscivo a ora di cena, prendevo l’autobus, un salto in hotel e poi a cena con i colleghi: non c’era settimana che non ce ne fossero da Milano o da altre sedi. Parlavamo di lavoro fino a tardi. Mi sono goduta poco la città, perché il venerdì, come ho scritto, rientravo a casa. Ricordo Piazza Ottinetti, piazza Ferruccio Nazionale, la biblioteca, il Castello, il ponte vecchio sulla Dora, l’anfiteatro romano, … Ma di tutto, due sono i ricordi più belli: la battaglia delle arance e i “dolci”.

La battaglia delle arance

Famosissimo è lo Storico Carnevale di Ivrea che affonda le sue radici nel medioevo e la cui tradizione è arrivata ai giorni nostri. Per approfondire, nel sito ufficiale dedicato al Canevale, la sezione Storia contiene tutti i dettagli del “più antico carnevale storico d’Italia”. Una narrazione articolata in cui sono identificati momenti precisi ed eventi come il corteo storico popolato da personaggi di epoche differenti ma soprattutto, la battaglia delle arance. Per chi non l’hai mai “vissuta” è difficile farsi un’idea delle emozioni che si provano. Un’emozione fatta di colori (l’arancio della frutta e i costumi delle squadre), di profumi (l’odore dei frutti si spande nell’area), di partecipazione (avevo comprato anch’io il berretto frigio rosso e mi piaceva da matti indossarlo), di riti e di memoria popolare. Per partecipare al carnevale, ricordo che saltai un rientro a casa perché ci tenevo troppo. Ecco, anche se un po’ provata dagli anni, una delle mie foto del carnevale 1981.

I “dolci” ricordi

Gli eporediesi sono biscottini croccanti fuori con un cuore morbido, senza farina (sono fatti con mandorle, nocciole, cacao e zucchero, qui la ricetta). Per tirarmi su dalle fatiche del lavoro (questa era la scusa ufficiale), quando rientravo da Palazzo Uffici mi fermavo in pasticceria e ne compravo 4 o 5. Pochi alla volta perché poi li finivo subito (e, a quei tempi, non volevo proprio ingrassare !!).

Discorso a parte merita la Torta 900, una delle torte più buone che abbia mai mangiato. È una torta dalla ricetta segreta, creata da Ottavio Bertinotti, pasticcere eporediese che ha tutelato la sua ricetta con tanto di brevetto depositato. Bertinotti era talmente geloso della sua ricetta che pare allontanasse chiunque durante la preparazione della farcitura, per non rivelare a nessuno il suo segreto. Segreto che è stato mantenuto anche dalla famiglia di Umberto Balla che, nel 1972, dopo circa settanta anni dalla sua creazione, rilevò il laboratorio e il brevetto. Quando si dice una torta “unica”.

Olivetti
Credits eporediesi . torta 900

Poi …

… dopo circa 1 anno e mezzo, per motivi strettamente familiari, ho dovuto lasciare l’Olivetti. Ma il marketing era orami diventato il mio percorso professionale– Un percorso che ancora continua. Ma negli anni, l’esperienza sul campo, gli studi e gli aggiornamenti continui, hanno sempre seguito l’impostazione ricevuta. Lasciare l’Olivetti non è stata una scelta facile. Per niente. E devo riconoscere che dopo tanti anni (quest’anno sono 43), un pezzetto di cuore è saldamente ancora là.