Anna Galluzzi

Anna Galluzzi: “parlare di fotografia è noioso, farla è esaltante”.

La fotografia è stata una presenza importante nella mia famiglia. Sono figlia e nipote di fotografi professionisti. Mio padre ha poi lavorato in altro ambito (il suo ricordo) ma è rimasto fedele fino alla fine alla “sua” fotografia. Purtroppo, non sono riuscita a portare avanti la tradizione di famiglia, per una mia oggettiva incapacità. A cui si è aggiunto un timore reverenziale nei confronti del fotografare. Colgo ogni occasione per andare a vedere mostre (qui un esempio) o per seguire chi riesce a creare suggestioni straordinarie. Come Anna Galluzzi. Bibliotecaria, che “mescola la passione per le biblioteche con mille altri interessi” e ci regala, immagini fascinose, eleganti, empatiche. Vere e proprie gemme, ambientazioni originali, citazioni (si ritrova Franco Fontana, qui). Da “amica”, nel suo profilo Facebook, scopro ogni volta, con stupore e ammirazione, la nuova “foto del giorno” . Un grazie speciale, quindi, ad Anna Galluzzi per questo suo contributo.

Anna Galluzzi e la fotografia

Ho accolto con piacere l’invito di Anna Busa a parlare del mio rapporto con la fotografia, e nello stesso tempo ho affrontato con una certa preoccupazione questo compito. Perché la fotografia non è fatta per essere spiegata, a meno che non si sia Ghirri nelle sue Lezioni di fotografia.
Eviterò dunque di raccontare il mio personale percorso fotografico e le tappe che l’hanno caratterizzato. Cercherò di concentrarmi sul significato che ha avuto e ha per me la fotografia.

Una passione che viene da lontano

Quello che posso dire è che non so bene da dove nasca questa mia passione, che in qualche modo mi accompagna fin dall’infanzia/adolescenza, con le prime macchine fotografiche compatte, le prime fotografie stampate, i primi complimenti e i primi album fotografici autoprodotti.

Nessuno in famiglia è appassionato di fotografia, né altri mi hanno mai introdotto a essa. In casa hanno sempre circolato solo gli album di famiglia che si aprivano con le buffe foto in bianco e nero dei miei nonni e della gioventù dei miei genitori, che – come tutti in quegli anni – sembravano usciti da un film tipo Poveri ma belli.
Le fotografie però mi hanno sempre affascinata tanto, e una qualche macchina fotografica mi ha accompagnata in ogni viaggio ed esperienza della vita.

È solo negli anni Duemila che mi sono decisa a seguire un corso base e a comprare una macchina fotografica reflex digitale. Da lì in poi non ho mai più smesso: corsi, libri, approfondimenti su fotografi grandi e meno grandi, visite a mostre. Migliaia di fotografie (quasi 40.000 con la mia prima macchina fotografica, e non so quante migliaia con le mirrorless a cui sono passata da qualche anno).

Fascinazione e meraviglia

A distanza di quasi vent’anni dalla mia full immersion nella fotografia, mi sono interrogata più volte sul perché di questa passione che non sembra mostrare segni di cedimento, nonostante la consapevolezza di non avere basi solide e studi specifici alle spalle e di poter contare sì su un buon occhio fotografico, ma non certo su un talento speciale. Credo che la fotografia abbia a che fare con la mia fascinazione per la ricchezza e la complessità dello sguardo.

So che sto per dire una cosa banale, ma per me la fotografia va molto al di là della tecnica e della strumentazione, anche se entrambe le offrono mezzi per esprimersi. La fotografia asseconda la mia naturale propensione a non dare nulla per scontato, a cambiare punto di vista, a guardare con maggiore attenzione. E mi costringe a esercitare uno sguardo creativo sul mondo, pur sapendo che la creatività non è la mia dote più sviluppata. La fotografia è il mio modo di meravigliarmi continuamente e di cercare all’infinito l’armonia e la bellezza nel mondo circostante, anche quando la bellezza è tutt’altro che evidente. E’ la possibilità di rinnovare le cose attraverso lo sguardo anche
quando apparentemente si ripetono sempre uguali, è l’inseguimento costante della luce che, cambiando, trasforma tutto. È come se il fatto di portare al collo la macchina fotografica, o comunque di guardare il mondo con occhio fotografico, mi rendesse più acuto lo sguardo, fino al punto che talvolta mi sorprendo a “fare fotografie” con gli occhi, rammaricandomi di non averle catturate con un obiettivo.

Anna Galluzzi

La fotografia, una parte di me

Che fotografi paesaggi naturali o urbani, dettagli, persone o cose, quello che vedo e che cerco di catturare con la mia macchina fotografica è una parte di me.

Le fotografie – si sa – rivelano qualcosa di noi. Non è un caso che, se più persone vanno a fotografare insieme lo stesso luogo, gli sguardi che ne vengono fuori sono tanti e diversi quante sono le persone. Io personalmente non ho ancora ben capito cosa rivelano di me le mie fotografie. E non sono ancora in grado di dire quale sia il mio genere preferito, o cosa mi piaccia di più fotografare. So però che solo chi fotografa tanto e da tanto tempo conosce la periodica stanchezza del fotografo. Che è uno svuotamento dello sguardo, qualcosa che interviene quando si ha bisogno di tornare a guardarsi dentro, di ricaricare le energie emotive.

La fotografia non è una volta per tutte: l’occhio fotografico va allenato, va messo alla prova, va fornito di tecniche che sappiano dargli nuovi strumenti espressivi. Bisogna approfondire le potenzialità della post-produzione (che in fondo è una forma evoluta di sviluppo della pellicola). E a un certo punto la foto singola non basta più e si vuole imparare il linguaggio delle immagini e la costruzione di una narrazione.

Le mie foto e la loro condivisione

Dopo vent’anni di fotografia mi sembra di avere più cose da imparare di quelle che ho imparato. E guardando le foto altrui sono sempre affascinata da quello che mi sembra di non saper fare e che vedo invece realizzato da altri fotografi. Come tutti i fotografi, che siano professionisti o amatori come me, – pur desiderando ardentemente che le mie foto siano guardate da altri – le considero qualcosa di così personale da diventare ipersensibile al giudizio su di esse. Perché in fondo sottoporre le proprie fotografie ad altre persone significa in qualche modo mettersi a nudo e offrirsi al giudizio collettivo. E però, comunque non posso fare a meno di rendere pubbliche le foto che faccio.

A proposito, su Behance ci sono un po’ di mie fotografie (NDR: assolutamente da visitare, è una vera e propria mostra digitale !!), così come sul mio blog, Sciame inquieto. In particolare sotto l’etichetta “viaggi” e nella relativa pagina Facebook.


Copyright: il testo e le foto sono di Anna Galluzzi. Tutti i diritti, testo e foto, sono riservati.